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La riforma della disabilità non ci sarà senza una trasformazione anche del Terzo settore

La riforma della disabilità introdotta dal decreto legislativo n. 62/2024 rappresenta una svolta epocale per il welfare italiano, chiamando il Terzo settore a un profondo ripensamento del proprio ruolo. Fondazioni, associazioni, cooperative sociali e enti gestori sono oggi attori centrali nel tradurre in pratica i principi della riforma, ma per farlo devono affrontare sfide inedite, superando modelli obsoleti e abbracciando un cambiamento culturale e organizzativo.

Dall’assistenza ai diritti: la necessaria evoluzione del Terzo settore
Storicamente, il Terzo settore ha operato come erogatore di servizi assistenziali, spesso compensando le carenze del sistema pubblico. La riforma, tuttavia, impone un salto di qualità: non più un approccio paternalistico, ma un modello basato sull’autodeterminazione e sulla partecipazione attiva delle persone con disabilità. Questo richiede una trasformazione radicale, che passa attraverso:

1. La co-progettazione dei servizi
Il principio di sussidiarietà orizzontale riconosce al Terzo settore un ruolo attivo nella definizione delle politiche sociali. Le associazioni di persone con disabilità e famiglie, grazie alla loro conoscenza diretta dei bisogni, devono essere coinvolte nella progettazione degli interventi, garantendo che siano realmente inclusivi e personalizzati. Strumenti come il budget di progetto e i progetti individuali richiedono una capacità di ascolto e adattamento che solo il Terzo settore, se adeguatamente formato, può garantire.

2. L’innovazione metodologica e tecnologica
La riforma spinge verso soluzioni flessibili, come l’inclusione lavorativa e la vita indipendente. Cooperative e associazioni devono adottare metodologie avanzate – dall’approccio capacitante al cohousing – e integrare tecnologie abilitanti, dall’assistiva alla domotica. Senza un investimento in competenze specializzate, il rischio è quello di replicare modelli superati.

3. La costruzione di reti integrate
La frammentazione degli interventi è uno dei mali cronici del welfare italiano. La riforma chiede una collaborazione sistematica tra pubblico, privato sociale e Terzo settore, superando logiche di competizione. Le realtà associative devono farsi promotrici di alleanze territoriali, creando sinergie tra servizi sociali, sanità e mondo del lavoro.

Le sfide da vincere: sostenibilità, monitoraggio e cultura inclusiva
L’attuazione della riforma non sarà priva di ostacoli. Tre nodi critici emergono con urgenza:

– La sostenibilità economica
L’introduzione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) dovrà essere accompagnata da risorse certe. Molte cooperative rischiano di trovarsi a erogare servizi senza adeguati finanziamenti, mentre le associazioni faticano a conciliare advocacy e gestione operativa. Serve un patto chiaro con le istituzioni per evitare il collasso di realtà già in difficoltà.

– Il monitoraggio dell’implementazione
Il Terzo settore deve assumere un ruolo di “sentinella”, verificando l’effettiva applicazione della riforma e segnalando criticità, come l’accesso ai budget di progetto o le disparità territoriali. Senza un controllo dal basso, il rischio è che le innovazioni rimangano sulla carta.

La transizione culturale
Il passaggio da un welfare assistenziale a uno basato sui diritti richiede un cambiamento di mentalità diffuso. Le associazioni devono promuovere formazione e sensibilizzazione, coinvolgendo non solo le famiglie ma anche la comunità, per abbattere stigma e pregiudizi.

Il valore aggiunto del Terzo settore: mediazione, sperimentazione e impatto sociale
In questo contesto, il Terzo settore non è un mero esecutore, ma un  agente di cambiamento. La sua forza risiede in tre contributi irrinunciabili:

1. La mediazione tra istituzioni e cittadini 
Grazie alla sua prossimità ai bisogni reali, il Terzo settore può tradurre le esigenze delle persone con disabilità in proposte operative, facilitando l’accesso ai servizi e rendendo la riforma più comprensibile e applicabile.

2. La sperimentazione di modelli innovativi 
Cooperative e fondazioni possono testare soluzioni pionieristiche – dal cohousing all’inserimento lavorativo con sostegno personalizzato – per poi scalarle a livello nazionale, dimostrando che un welfare inclusivo è possibile.

3.  La promozione di una cultura dell’inclusione 
Oltre agli aspetti tecnici, il Terzo settore deve farsi carico di un’educazione sociale che vada oltre la disabilità, lavorando su scuole, imprese e territori per costruire comunità realmente accoglienti.

Conclusioni: un’opportunità storica da non sprecare
La riforma della disabilità sarà un successo solo se il Terzo settore saprà evolversi, abbandonando logiche assistenziali per abbracciare un ruolo più dinamico e propositivo. Questo richiederà coraggio, risorse e una visione condivisa, ma la posta in gioco è alta: costruire un welfare che non si limiti a “prendersi cura”, ma che garantisca davvero diritti, autonomia e dignità. Se il Terzo settore riuscirà a essere all’altezza di questa sfida, potrà dimostrare ancora una volta di essere non solo un pilastro del sistema, ma il suo motore più innovativo.

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